Inizia oggi la settimana della Fashion Revolution e come ogni anno, da un po’ di anni a questa parte io cerco di interrogarmi su come il mio lavoro possa essere sempre più allineato ai valori di cui mi faccio portavoce e in cosa possa ancora migliorare.
Partiamo dall’inizio però e chiariamo perché la moda venga definito uno dei settori più inquinanti dopo quello alimentare.
L’impatto che la moda ha sull’ambiente è decisamente pesante. L’inquinamento si propaga nell’aria sotto forma di emissioni di carbonio, ma anche nell’acqua e nel terreno, grazie al rilascio di sostanze chimiche tossiche durante tutte le fasi di lavorazione. La moda così detta Fast fashion, inoltre, sta consumando rapidamente le risorse naturali, come il suolo, l’acqua, l’energia e le materie prime. Le sempre più numerose richieste di fibre come lana, rayon e viscosa, stanno contribuendo alla deforestazione di vaste aree del pianeta. Se a questo ci aggiungiamo il massiccio accumulo di rifiuti tessili abbandonati in discariche all’area aperta in giro per il mondo e le microplastiche diffuse ormai ovunque, non stupisce come tutto questo abbia grosse implicazioni con la perdita di biodiversità e la salute degli ecosistemi. In quest’ottica, forse, essere sostenibili non basta.
Bisogna attivarsi per ridurre i danni e nello stesso tempo essere in grado di rigenerare e ricostruire. (Marina Savarese, L’indipendente 3 febbraio 2024)
Sono queste considerazioni che mi hanno spinta a cercare di creare una realtà sartoriale attenta a tutti i processi di lavorazione partendo anche dall’agricoltura.
Dopo anni di colture intensive, monocolture e sfruttamento massiccio del suolo, la terra si è progressivamente impoverita ed è per questo che nel 2022 io e mio marito abbiamo aperto una piccola Azienda agricola a conduzione familiare, incentrata sulle tecniche di coltivazione della permacultura. Qui non ci sono grandi appezzamenti dedicati a monoculture, bensì piccoli ecosistemi studiati e progettati per collaborare in sinergia. Alberi da frutto fanno ombra ai legumi che arricchiscono il terreno con il loro azoto garantendo maggior nutrimento alle radici delle piante. Tra i filari di frutteti misti trovano spazio le piante tintorie, che oltre a creare paesaggi colorati e bucolici, crescono rigogliose in un habitat ideale e vengono colte ed essiccate con cura per tingere i nostri capi unici. E’ una coltivazione apparentemente disordinata, non convenzionale e diversa da ciò che si è soliti vedere: distese infinite di monoculture, facili da raccogliere, da coltivare e da trattare.
La nostra è una lavorazione spesso più complicata, più lenta, che prevede la raccolta a mano delle singole specie e il raccolto spesso incerto, ma segue quelli che sono i ritmi naturali, aumentandone la biodiversità, arricchendone il suolo e migliorando l’ecosistema circostante.
Non siamo ancora arrivati dove vorremmo, sarebbe bello fare nostro il motto from farm to closet, dalla fattoria all’armadio, e chiudere il cerchio della produzione partendo proprio dalla coltivazione della fibra. Gli alberi di gelso per sperimentare i bachi da seta sono già presenti e forse fra qualche anno il nostro sogno potrebbe non essere così utopistico. Per ora ci limitiamo a scegliere materiali di alta qualità biologici e certificati di origine italiana e proseguire con tutte le altre fasi di lavorazioni certi di avere un impatto bassissimo nella colorazione naturale dei tessuti e di creare capi unici, artigianali fatti con cura e dedizione, per il bene del pianeta e di chi li indossa!
Se non vuoi perderti le ultime novità e gli aggiornamenti sui capi e le creazioni Soffio di Scilla ti aspetto
Comments